A palazzo Spadaro rivive il ricordo del giudice Salvatore Rizza

Incontro culturale ieri pomeriggio nella sala “Falcone-Borsellino”

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SCICLI – Rivive nel ricordo tributatogli ieri pomeriggio a palazzo Spadaro il giudice Salvatore Rizza. A lui è stato dedicato un appuntamento dall’Accademia Giuridica Modicana e dal Comune di Scicli. L’associazione, oggi presieduta dall’avvocato Luca Licitra e costituitasi nel 2013, ha tra gli scopi anche quello di tramandare la tradizione della scuola giuridica della Contea di Modica, favorendo ogni iniziativa diretta alla formazione forense e coltivando buona memoria dei rappresentati dell’avvocatura e della magistratura, che nel tempo hanno dato lustro alla cultura giuridica.

Quello tenutosi nella sala “Falcone – Borsellino” è stato un incontro culturale, dal titolo “Ricordo del Magistrato Dott. Salvatore Rizza”, che, dopo i saluti istituzionali, ha visto la partecipazione del presidente della AGM, Luca Licitra, della dott.ssa Giovanna Scibilia, già Presidente del Tribunale di Caltagirone, e dell’avvocato Raffaele Rossino, direttore di “Dibattito”.  Nel corso dei vari interventi è stata tratteggiata la figura del giudice Rizza.

Nella foto da sinistra Licitra, Scibilia e Rossino

Salvatore si distinse – ha detto Rossino nel suo intervento – per preparazione, professionalità, equilibrio, oculatezza ed imparzialità. Le sue sentenze, ben motivate (oggi basta ed è sufficiente una stringata motivazione) erano difficilmente riformabili. Salvatore partecipò al concorso di magistrato e lo vinse. L’allora Procuratore della Repubblica del Tribunale di Modica, dott. Francesco Bua, che era pure suo amico, quando Salvatore gli anticipò che desiderava entrare in magistratura, in un primo momento non manifestò grande entusiasmo, perché faceva fatica a capire il motivo della rinuncia ad una prestigiosa carica forense“.

“Ma quando Salvatore risultò vincitore il dott. Bua, che è morto di recente, si ravvide, anche se non ne dubitava – ha aggiunto Rossino – che la magistratura aveva fatto un ottimo acquisto. Il giudice Rizza, oltre a conservare la sua cultura aperta e sensibile, senza acquisire quella sorta di ‘arroccamento’, con cui talvolta ci si allontana dalla realtà che ci circonda, conferì la regola (e gli avvocati lo ringraziano per questo) che vede in ogni buon avvocato un ottimo magistrato, mentre solo raramente (ed ebbe il coraggio di dirlo pubblicamente) accade l’incontrario! Come magistrato fu destinato a Locri in Calabria. Fu un ottimo e pensoso giudice negli anni entusiasti dell’avventura calabrese. Anche lì fu molto apprezzato e stimato da colleghi e avvocati anche perché, oltre ad essere magistrato di notevole spessore, sapeva coniugare la qualità della decisione con l’efficienza della risposta giudiziaria“.

“In un incontro casuale mi manifestò il suo grande turbamento per la morte di un giovane valente carabiniere, ucciso a mano dalla ‘ndrangheta. Dopo anni tornò in Sicilia a reggere la Pretura di Ispica. Anche qui voluto bene perché gli avvocati intuirono subito che era un attento e raffinato interprete del diritto. Fu giudice al Tribunale di Modica a sezione promiscua. Presiedeva talvolta il collegio penale o ne era componente e così pure quello civile. Per tanti anni svolse le funzioni di Giudice del Lavoro“.

“Salvatore era una persona di vita austera e di rigorosi principi morali. Aveva semplicità di animo e di modi. Il suo parlare era vezzoso. Era piacevole ascoltarlo. Era un fior di galantuomo, integerrimo, probo e leale. Svolse il suo ministero – ha raccontato Rossino – con impegno assiduo ed esemplare dignità. Un uomo così vero, dall’animo nobile e generoso. Dedito alla famiglia, era anche pieno di sollecitudine per gli altri. Per un trentennio diede lustro, al pari del Preside Rossino, al mensile Dibattito, di cui era editorialista. Salvatore è stato la coscienza etica e civile di questo giornale, in tanti articoli, sempre discretamente venati dalla sua non comune cultura che era come la sua casa piena di libri”.

“Non mi fece mai mancare, come mi aveva promesso, sin dall’inizio, un suo articolo a numero sino all’esalazione del suo ultimo respiro. È stato una delle colonne portanti del giornale, che è nato per caso. L’incipit ci fu dato dal cosiddetto ‘mostro’ di Piazza Italia. La moderna costruzione del Palazzo Miccichè realizzato negli anni ’60 al posto del vecchio ed architettonico Collegio dei Gesuiti, costruzione che ha deturpato l’ambiente circostante. Succintamente rappresentiamo quale è stata la storia di Dibattito”.

“Era un bel giorno del giugno del 1989. Io, mio fratello Giovanni e Salvatore ci trovammo all’interno della chiesa Madre, dove assistemmo ad una funzione religiosa, presente il Vescovo della Diocesi di Noto. Non ricordo quale sia stato l’evento o la ricorrenza. All’uscita della chiesa per la millesima volta ci ha colpiti e turbati il Palazzo Micicchè che abbruttisce la Piazza Italia. Per contribuire alla salvaguardia del patrimonio culturale-artistico, di cui è ricca la nostra città e per evitare che si ripetessero fatti distruttivi come quelli avvenuti nel 1960, scherzosamente – ha affermato Rossino – proposi di dare vita ad un’associazione culturale. Mio fratello e Salvatore furono d’accordo. Così è stato fondato Dibattito che indubbiamente è stato un mezzo per scuotere dal torpore gli amministratori locali e così avere voce per farci ascoltare”.

“Memorabili, forbiti, eccellenti e molto seguiti gli articoli del giudice Rizza che spaziavano e dibattevano vicende locali, provinciali, regionali e nazionali. E così pure gli articoli culturali del preside Rossino. Non vanno però dimenticati ed anzi ricordati tanti altri preziosi collaboratori che hanno dato anche loro lustro al giornale. Ne citiamo solo alcuni. I compianti giudici Maurizio Gurrieri e Michele Palazzolo. L’avvocato Giovanni Manenti con la sua rubrica ‘Il diario del nonno’, l’onorevole  Antonio Borrometi, il professore Nino Barone; nonché quasi tutti professori della facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Tor Vergata. Ricordo pure l’avvocato Michele Sbezzi, la psicologa Laura Bellio, l’avv. Romano Zipolini, l’avv. Vincenzo Rizza, il giudice Andrea Reale e padre Ignazio La China. Da ricordare l’appuntamento in pizzeria ‘Al Barone’ a Modica Alta con gli amici. Era diventato quasi un rito”.

“Vanno ricordate le battute salaci di Salvatore su vicende nazionali e nostrane nell’ultimo incontro che si è avuto. Era molto legato alla sua città e in particolar modo al suo borgo, Donnalucata. Si è battuto con coraggio, alacremente e tenacemente con tutte le sue forze quando i giornali diedero notizie che il Comune di Scicli correva il rischio di essere commissariato per presunte infiltrazioni mafiose. Per evitare che si avverasse questo drammatico evento Salvatore cercò con articoli su Dibattito e intervenendo nelle assemblee cittadine che si tenevano di spiegare a chi di competenza che un eventuale scioglimento del Consiglio comunale sarebbe stata un’ingiustizia e contra legem in quanto non ricorrevano i motivi né i presupposti. Sottoscrisse anche una lettera aperta, assieme al Presidente Santiapichi e a tanti altri rappresentanti locali e nazionali, inviata al Ministero degli Interni ed a altri organi istituzionali affinché non venissero adottati i provvedimenti, che se attuati sarebbero stati un’infamia per Scicli. Ma invano. Il Comune, durante la sindacatura del dottor Susino, è stato commissariato. Non si tenne conto – ha proseguito Rossino – di quanto giuridicamente sostenuto dal giudice Rizza”.

“Questo scioglimento seguì quello risalente al 1990. Il tempo è però galantuomo e giustiziere. Ha dato ragione al giudice Rizza. Il primo decreto di scioglimento del 1990 è stato annullato dal Tar per la sua illegittimità ed infondatezza, mentre il Tribunale penale di Ragusa, presidente il dott. Saito, con sentenza resa nel 2021, ha assolto con la formula più piena e cioè perché il fatto non sussiste, il sindaco Franco Susino, accusato ingiustamente di concorso esterno in associazione mafiosa e per cui era stato decretato lo scioglimento del Consiglio comunale. A conclusione del mio intervento – ha continuato Rossino mi piace citare tre aneddoti, uno dolce, che mi ha inorgoglito e gratificato, l’altro amaro che mi ha fatto arrossire e il terzo neutro”.

“Il primo aneddoto vede Rizza come avvocato. Si tratta di questo. Un giorno, era di sera, mi trovavo fermo in Piazza Busacca. Salvatore, intuendo che aspettassi un passaggio e sapendo che abitavo fuori Scicli, in contrada Spana, si offrì di accompagnarmi. Salì sulla sua vecchia 500 e, giunto a destinazione, davanti al cancello di casa, ci soffermammo a parlare. Prima che scendessi dall’autovettura, dandomi una pacca sulla spalla, mi disse che la fiducia che riponeva nei miei confronti era ben riposta perché ero un amico vero, leale e sincero, a differenza appunto di un tizio dal quale, pur professandosi amico, aveva subito un torto che l’aveva turbato. Dal dolce all’amaro. L’aneddoto, il secondo, che vede Rizza come giudice e che mi ha fatto arrossire. Per uno sfratto mi era stata fissata un’udienza feriale, il 14 agosto. Era un giorno afoso. L’avvocato di controparte era l’avv. Franco Drago. Pensavamo entrambi che avrebbe trattato lo sfratto per morosità un Giudice non togato. Non ci siamo preoccupati di indossare la giacca. Eravamo a maniche corte. Il Tribunale era stato traferito nei locali dell’ex scuola professionale all’uscita di Modica. L’avv. Giovanna Manenti che, in quel tempo, mi collaborava e che era con noi, all’orario indicato, bussa alla porta della stanza del Giudice. Grande sorpresa. A trattare la causa non era il giudice onorario, bensì il giudice Rizza. Entriamo tutti e tre e Salvatore, rivolto verso di me con modi, come era suoi costumi gentili e garbati, mi dice proprio da me, avvocato anziano, non se lo sarebbe aspettato: presentarmi senza giacca e in maniche corte. Ed io sono arrossito. Salvatore dopo la garbata sfuriata ci mise a nostro agio. Ho voluto citare questo aneddoto per dimostrare il rigoroso rispetto che pretendeva nell’esercizio della funzione per l’amministrazione della giustizia. Il terzo aneddoto di carattere neutro vede Salvatore come editorialista di Dibattito. Che cosa era successo? È presto detto. Il giudice Maurizio Gurrieri mi fa pervenire un articolo da pubblicare. Era stato convinto proprio da Salvatore a collaborare. Era un articolo antiamericano. Veniva chiamato in causa Salvatore per il contenuto di un suo articolo pubblicato in precedenza. Di questo informo Salvatore il quale, a sua volta, mi invia un suo articolo in risposta a quello di Gurrieri. Erano di opinioni diverse. Li pubblico entrambi nello stesso numero. L’indomani della pubblicazione Salvatore e Maurizio assieme si recano nel vicino bar per sorbire un caffè. Tranquilli e sorridenti. Si pensava che invece avessero litigato. Di questo comportamento se ne avvede il collega Carmelo Floridia, il quale rimane sorpreso. Corre verso di me e mi dice: Raffaele, ma come su Dibattito se ne sono dette di cotte e di crude e sono assieme al bar? Io ho risposto che erano due persone democratiche, che liberamente esprimono le loro idee e che sono più amici di prima, perché persone di grande intelligenza. Dopo aver tratteggiato e detto chi era Salvatore del quale alcuni suoi tratti non si conoscevano, concludo col dire che ora dorme senza fine, come tutti i morti della terra che si scordano. Ma noi non ti scorderemo, ti ricordiamo sempre. Tu vivi per sempre nei nostri cuori”.

“Ciao Salvatore! Con la recondita speranza – ha terminato – che almeno ti sia dedicata con il tuo carissimo amico professore Rossino, che ti ha raggiunto in cielo, entrambi talenti che avete dato lustro alla nostra Città, una delle vie principali di Scicli”.

 

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